Mario Benigni
nasce a Seo, una piccola frazione del Comune di Stenico nel dicembre del 1966. Dopo la Scuola Media inizia a lavorare nella falegnameria del padre. Lavoro, quello del falegname che esercita tutt’ora insieme al fratello Andrea. Dagli Anni ’80 agli Anni ’90 è stato ciclista di eccellente valore a livello nazionale con importanti successi. Memorabile la vittoria nella classica corsa in salita Sondrio-Livigno, dove riuscì a battere per distacco nientemeno un tal signore che di nome faceva Marco Pantani. Più avanti, seguendo le impronte di uno zio che esercitava per hobby la caccia fotografica si appassiona alla fotografia naturalistica con risultati di ottimo livello. Da qualche anno si dedica con passione alla ricerca delle ultime transumanze, seguendo i pastori sulle montagne del Gruppo del Brenta e delle Alpi di Ledro. La rassegna fotografica “Ospiti dell‘Alpe”, documenta il passaggio degli uomini delle greggi sulle pasture dell’Alta Valle d’Ambiez, nel Comune di San Lorenzo-Dorsino.
(Gianluigi Rocca)
Mario Benigni, Nature sublimi e visioni antiche di Uomini e Animali. L’artista più autentico, come il vero scienziato, è un ricercatore che si muove ed agisce con materie e tecniche per dipanare la verità delle cose e il significato del mondo, facendo interagire pensieri logici e percezioni, lasciando emergere sensibilità e sedimenti di memoria, per una nuova comunicazione. Il problema estetico della fotografia, un tempo criticamente presente nei dibattiti intellettuali per definire il campo dell’arte, oggi appare privo di elementi assertivi sostanziali; merito della massiva diffusione della tecnologia in grado di restituire pensieri, sistemi e metodologie plasmate, anche nella stessa arte, nella definizione più completa e verosimile dei comportamenti umani, nella contemporaneità. La fotografia ha quindi definitivamente assunto lo status di tecnica artistica non solamente per le implicazioni di confortevole modernità, ma anche per le proprietà specifiche di “nuova oggettività” in stile documentario, in grado di ospitare effetti ed affetti consoni alle più incredibili espressività degli autori che la praticano. Una grande fotografia è la piena manifestazione del sentimento di rispetto per il soggetto, rivela profondità ed il più commosso contatto con la vita. Appare dentro le persistenze formali e concettuali dell’immagine la manifesta devozione per i soggetti rappresentati, si denota una singolare interazione come si trattasse di una proiezione delle più recondite intimità. Dare corpo alle proprie inclinazioni, trasferire atmosfere e geometrie dentro questo corpo bidimensionale fatto di carta trattata, impressionata dalle nostre intensità emozionali è quindi “volontà d’arte”, alla stregua di tutte le tecniche riconosciute. Così, proseguendo lungo i sentieri della visione, adoperandosi come medium e traduttore di spazi e tempi lontani, ecco le monografie di Mario Benigni: attraverso affermazioni nitide di bagliori nostalgici e quasi neoclassici, nella densità del “semplice” e con il profumo di una bellezza antica, l’autore vuole sottolineare intenzioni per rifuggire da manipolazioni e complicazioni tecniche (queste ultime intese come sconfinamenti e distrazioni che allontanano dalla meraviglia delle cose) per dichiarare il suo amore verso la Natura. Nella sua disposizione a riprodurre intensità paesaggistiche dove muove la vita degli uomini e degli animali, egli scorge il fascino della sublime meraviglia ed attraverso chiarori e nebulosità manifesta un’aura leggendaria alla quale noi tutti siamo richiamati. Intanto l’impronta della persistente memoria riprende a respirare seguendo le cadenze di un tempo dove si mescolano momenti di ruvida asprezza e luminosa estasi romantica. Nella trascrizione sincera di Mario Benigni nulla si sacrifica alla verità; le lande montane abitate dal silenzio, i grandi spazi delle alture prative, la vita composta degli animali e la presenza dell’uomo, diventano soluzioni per una maestosa scenografia costruita di luce, nello stupore che irrompe magnetico ad ogni nostro sguardo. Attraverso l’assoluta definizione dell’immagine si restituisce la più completa comprensione della natura reale, mentre il dialogo di tutta la materia organica presente pare esplicarsi, superando le strategie del pittorialismo, come aristocratica testimonianza priva di inganno. È l’atlante della conoscenza, nell’onesta del vedere, nella sottrazione del colore fino al limite del bianco e nero, come se l’indagine appartenesse ancora di più al mondo delle idee, si rivelasse nella consistenza comunicativa per la sua vera essenza, nell’appartenenza ai territori degli “altipiani superiori”. Mario Benigni ispirato e gentile, nella sua fotografia riposata muove verso forme di autenticità, rifuggendo il clamore; noi, certamente abbiamo compreso, sono “opere buone”. Buon futuro nell’Arte, Mario Benigni. (Alessandro Togni)