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La linea, il segno in Roberto Codroico. Ovvero l’anima del mondo.

 Il corpo, mappa di un territorio fatto di carne e di idee, addentrandosi nel folto della selva chiamata Io, passo dopo passo, perde i propri connotati fisici per farsi semplicemente gesto e idea. Il gesto depone, l’idea lo anticipa e lo segue, raccogliendo i frutti di un’anatomia dell’immagine. Paracelso dice che lo scorpione guarisce lo scorpione. Secoli dopo Hans Bellmer, surrealista, pensa che i diversi modi di esprimersi – gesto, atto, suono parola, grafismo – derivi- no tutti da uno stesso insieme di meccanismi psicofisiologici. Roberto Codroico nel suo operare coltiva i propri frutti – dalle scatole-gesto-movimento ai disegni, alle tele – confondendo volutamente il reale con il virtuale. Nel breve saggio autobiografico ha cercato (La linea, 2002) di dare un senso al suo agire, trovandolo in un testo pittorico frequentato da errabondi pensieri. Parole- immagini nate da segni casuali, come l’azzardo della spirale barocca centripeta o centrifuga: ovvero nell’effetto di una collisione fortuita e improvvisa. I segni nascono da quel pentolone celtico fatto di conoscenze, di esperienze architettoniche e pittoriche. Forse germinano pensando alla loro evoluzione cromatica e grafica. Pullulano i segni e le forme dentro cornici diventate finestre su di un mondo attraversato da parte a parte da una forza, da un’energia. Cornici talvolta grandi come le vetrate gotiche, guardate attentamente e discretamente da esseri materializzati e viventi al margine. Custodi silenziosi di pascoli sottostanti. Può quindi capitare che una mucca blu e rossa possa guardare interessata al vulcano che sta sotto di lei, vedere e testimoniare che è possibile che un ricciolo accenni ad una spirale e che i punti cromatici si addensino formando geometrie vegetali. Passi di danza per una scrittura fatta di note cromatiche. E dal vuoto escono esseri. Appaiono. Non nascono per sottrazione o divisione. Sono il frutto di intrecci, di nodi, forse di permutazioni. Sorta di bestiario sussurrato, di una figurazione che ha perso il proprio statuto di visibilità per diventare situazione, un inconscio fisico che abita in ogni corpo, rudimenti di una metafisica di un voyeur dell’arte e dell’architettura come è Roberto Codroico. Profondo conoscitore dei colori e dei segni universali che hanno canta- to, nel lontano medioevo, il senso stesso della vita e del sogno. Quel romanico che intriga e costruisce a tutt’oggi impalcature concettuali per l’arte astratta. L’artista si trova a proprio agio qui, nelle onde tumultuose di un oceano: crea territori dove, transitando, si viene presi dalla vertigine. Luoghi non definibili perché i segni si mescolano con i colori mirando ad un linguaggio segreto, quasi ermetico, dove il questo e il quello vengono frantumati, dove i nomi comuni vengono aggrovigliati, distrutti in anticipo. Si cammina tra vuoti e pieni come nel suo studio, torre di Babele della cultura, incrocio di destini culturali fluiti nei lavori qui presenti. Queste opere non sono metafore della realtà. Sono la realtà. Magari narcisistica, ma trattasi di una realtà che pretende, per entra- re in empatia, di un’identificazione altrettanto narcisistica, di un’appropriazione egoistica da parte dell’uomo di stabilire un rapporto quasi perverso tra l’oggetto e chi lo lo guarda. Le forme, facendole ruotare, su di un perno ideale. Si spostano, si modificano modificando al contempo lo spazio. E il tempo. Ci si perde perché questi segni, lasciati cadere dall’alto verso il basso, sono i rami di un labirinto. Chissà se dentro in fondo ai colori, ai segni, c’è un Minotauro che ci aspetta per divorarci. Perché queste opere vanno lette seguendo l’indice che si perde e si ritrova continuamente, sobbalzando, sprofondando e scavalcando. Uscendo dal buio del mistero per affondare nuovamente nel moto del ritorno, in un’altalenante percorso di riemersione alla luce e di sprofondamento nel silenzio degli inferi. Il senso della frase di Paracelso lo si capisce meglio ora, dopo aver attraversato, miticamente, l’oceano di Roberto Codroico. Dall’orgasmo dell’Io si è passati all’effrazione del narcisismo. L’artista ripete il gesto messo in scena da Perseo: recide la testa di Medusa trasformandola in opera. E questa diventa un luogo in cui perdersi vuol dire ritrovarsi.

Fiorenzo Degasperi

 

Oltre la cornice. 

L’architetto Roberto Codroico è noto nel Trentino e non solo, per la sua intensa attività nell’ambito della tutela e per il restauro dei Monumenti del passato, per la profonda conoscenza della storia dell’arte profusa in molteplici conferenze e nelle lezioni universitarie, ma anche ai ragazzi, dalle elementari al liceo. Pochi conoscono invece il Codroico creativo, l’artista che ha percorso le avanguardie storiche per inoltrarsi nelle più recenti sperimentazioni senza per questo perdere una personale ricerca formale; e poche sono state le occasioni di vedere le sue opere. Nel 1994 gli architetti del “Circolo Trentino per l’Architettura Contemporanea” gli hanno organizzato una mostra antologica nel chiostro del Convento dei Cappuccini a Trento ed in tale occasione l’allora sindaco della città, oggi presidente della Provincia, Lorenzo Dellai ebbe a dire, ma lo si potrebbe ripetere ancora oggi: “per me, forse più che per altri, è stata decisamente una sorpresa conoscerlo in questo suo aspetto. Ho conosciuto ed apprezzato l’arch. Codroico come rigoroso, anche se mai ottuso, difensore delle Leggi, che presiedono alla gestione di beni straordinariamente importanti che vi sono nella nostra città e nella nostra provincia. Non avevo mai avuto modo di conoscerlo nella sua qualità di artista. Devo dire che la sorpresa è piacevole, accresciuta dalla circostanza che questa mostra ha potuto consentire ai presenti di sentire le parole che prima abbiamo sentito da autorevoli esponenti del mondo scientifico quindi un compiacimento, una parola di grande vicinanza”. Della mostra di allora molti sono rimasti affascinati dalle “scatole”, contenitori di forma regolare in cui Codroico aveva rinchiuso una serie di “azioni e sperimentazioni” creando oggetti da tenere tra le mani e chiudere o aprire a proprio piacere. Le scatole erano una sintesi, un punto d’arrivo di una lunga evoluzione alla quale non furono estranei i contatti che Codroico ebbe con Hans Richter, uno dei protagonisti del movimento Dada, ma anche con i rappresentanti delle più spregiudicate avanguardie di quegli anni quali Vlado Kristl, Kurt Kren, Otto Muehl ed altri ancora. Le scatole furono presto sostituite da superfici a rilievo, poi da un ripetitivo accostamento di punti, quindi di linee verticali che lentamente ritornarono sinuose e continue. Per quanto sia la “linea” il motivo conduttore dell’opera di Codroico il colore, così importante nella pittura veneta, è una presenza dirompente fatta di accostamenti vivaci dalle tonalità cangianti. Ma come lo stesso Codroico ebbe a scrivere è la linea la chiave di ogni sua opera; per lui essa ”scivola silenziosa sul foglio, s’interseca, a volte bruscamente altre armonicamente, compone forme e spazi, rapporti e contrasti, ma soprattutto rivela sensazioni ed emozioni. E’ realizzata in un attimo magico, in uno spazio di tempo assai breve, che però comporta un lungo tempo di concentrazione fisica e mentale”. Il semplice segno realizzato con la matita e ridotto al puro gesto formale, ma che racchiude l’inconscia forma della propria personalità, quasi la rielaborazione cerebrale avvenuta durante il sonno è il centro della ricerca di Codroico, che accosta a questo rigore dell’essenziale il giocoso e provocato- rio gesto imparato dai dadaisti e mediato dalle più recenti avanguardie. Le opere della presente mostra sono state realizzate nel 2004 e a differenza delle scatole del 1971, di cui qui ne sono esposte due, che racchiudevano in uno spazio definito l’azione creativa, queste si espandono oltre la cornice per invadere gli spazi circostanti sino a coinvolgere gli oggetti della quotidianità e coloro che si avvicinano al quadro. E’ l’azione che dalla superficie pittorica invade gli spazi circostanti per dare luogo a spazi architettonici. Già Sergio Giovanazzi nell’analizzare il Codroico architetto aveva evidenziato la necessità di due premesse: Una prima riguarda il rapporto restauro/nuove architetture, sottolineando che quando Codroico afferma “il restauro è una particolare specializzazione dell’architettura; non esiste un limite di demarcazione tra l’architetto che si occupa di storia e restauro e l’architettura contemporanea”, è come dire che il restauro è sempre un’operazione di architettura dove il passato è “presente” e dialoga su un piano di parità con quanto è costruito nel presente. Una seconda chiarita da Luigi Seravalli: Codroico “quando si mette a lavorare (a dipingere) sgombra la sua mente e si lascia condurre da una specie di istinto, dettato interiore, slancio vitale, pulsazione freudiana, creatività subconscia o inconscia”. Il passato si fonde con il futuro per diventare contemporaneità. Ogni esperienza passata e presente sono presenti e per Codroico la ricerca dell’ultima forma della sua personalità continua, come la vita stessa.

Alessandro Togni


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